la California ed il West



 I 41 concorrenti al Premio Strega, edizione 2018

(i 12 titoli selezionati come finalisti sono evidenziati in rosso)


Clicca sui titoli per leggere un breve riassunto della trama dei libri (tratto da Amazon Italia)
I libri sono presentati nello stesso ordine (alfabetico) in cui sono elencati sul sito del Premio Strega

Domande? Scrivete


  1. Adriano Angelini Sut, “L’ultimo singolo di Lucio Battisti” (Gaffi)
    proposto da Simonetta Bartolini

  2. Marco Balzano, “Resto qui” (Einaudi)
    proposto da Pierluigi Battista

  3. Ilaria Bernardini, “Faremo foresta” (Mondadori)
    proposto da Caterina Bonvicini

  4. Giorgio Biferali, “L’amore a vent’anni” (Tunué)
    proposto da Lucio Villari

  5. Massimo Bubola, “Ballata senza nome” (Frassinelli)
    proposto da Alessandro Perissinotto

  6. Gianfranco Calligarich, “Quattro uomini in fuga” (Bompiani)
    proposto da Paolo Mauri

  7. Carlo Carabba, “Come un giovane uomo” (Marsilio)
    proposto da Edoardo Nesi

  8. Daniele Cavicchia, “Zeta l'ultima della fila” (De Felice Edizioni)
    proposto da Francesca Pansa

  9. Severino Cesari, “Con molta cura” (Rizzoli)
    proposto da Giancarlo De Cataldo

  10. Edoardo Chiti, “Atlas” (Round Robin Editrice)
    proposto da Sergio Givone

  11. Anne-Riitta Ciccone, “I’m. Infinita come lo spazio” (il Foglio)
    proposto da Elisabetta Kelescian

  12. Marco Ciriello, “Un giorno di questi” (Rubbettino)
    proposto da Paolo Di Stefano

  13. Mario Collarile, “Il terzo padre” (Historica Edizioni)
    proposto da Maria Cristina Donnarumma

  14. Maurizio Cotrufo, “Il pescatore gentiluomo” (Editoriale Scientifica)
    proposto da Diego Guida

  15. Carlo D'Amicis, “Il gioco” (Mondadori)
    proposto da Nicola Lagioia

  16. Sergio De Santis, “Non sanno camminare sulla terra” (Mondadori)
    proposto da Antonio Denenedetti

  17. Gianfranco Di Fiore, “Quando sarai nel vento” (66th and 2nd)
    proposto da Marcello Fois

  18. Silvia Ferreri, “la madre di Eva” (Neo Edizioni)
    proposto da Ottavia Piccolo

  19. Patrick Fogli, “A chi appartiene la notte” (Baldini+Castoldi)
    proposto da Piero Gelli

  20. Dori Ghezzi, Giordano Meacci, Francesca Serafini, “Lui, io, noi” (Einaudi Stile Libero)
    proposto da Sandro Veronesi

  21. Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica” (Guanda)
    proposto da Benedetta Tobagi

  22. Sergio Lambiase, “Adriana cuore di luce” (Bompiani)
    proposto da Antonella Cilento

  23. Lia Levi, “Questa sera è già domani” (Edizioni e/o)
    proposto da Dacia Maraini

  24. Loredana Lipperini, “L'arrivo di Saturno” (Bompiani)
    proposto da Stefano Bartezzaghi

  25. Elvis Malaj, “Dal tuo terrazzo si vede casa mia” (Racconti Edizioni)
    proposto da Luca Formenton

  26. Elena Mearini, “È stato breve il nostro lungo viaggio” (Cairo)
    proposto da Franco Di Mare

  27. Francesca Melandri, “Sangue giusto” (Rizzoli)
    proposto da Gianpaolo Gamaleri

  28. Angela Nanetti, “Il figlio prediletto” (Neri Pozza)
    proposto da Carla Ida Salviati

  29. Sergio Livio Nigri, “Il marito paziente” (Biblioteca dei Leoni)
    proposto da Maurizio Cucchi

  30. Paolo Onori, “Fare pochissimo” (Marcos y Marcos)
    proposto da Antonio Pennacchi

  31. Sandra Petrignani, “La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg” (Neri Pozza)
    proposto da Biancamaria Frabotta

  32. Letizia Pezzali, “Lealtà” (Einaudi Stile Libero)
    proposto da teresa Ciabatti

  33. Andrea Pomella, “Anni luce” (ADD Editore)
    proposto da Nadia Terranova

  34. Luca Ricci, “Gli autunnali” (La nave di Teseo)
    proposto da Renato Minore

  35. Andrea Salonia, “Domani, chiameranno domani” (Mondadori Electa)
    proposto da Rosellina Archinto

  36. Isabella Schiavone, “Lunavulcano” (Lastaria)
    proposto da Ludina Barzini

  37. Brunella Schisa, “La nemica” (Neri Pozza)
    proposto da Romana Petri

  38. Yari Selvetella, “Le stanze dell'addio” (Bompiani)
    proposto da Chiara Gamberale

  39. Giuseppe Sgarbi, “Il canale dei cuori” (Skira)
    proposto da Furio Colombo

  40. Carlo Maria Steiner, “Dottor Marx” (Felix Krull Editore)
    proposto da Franco Cardini

  41. Giordano Teodoldi, “Tabù” (Tunué)
    proposto da Filippo La Porta



1. Adriano Angelini Sut, “L’ultimo singolo di Lucio Battisti” (Gaffi)

Il mito benevolo di Lucio Battisti, l'ineffabile fascino del grande musicista sabino, protegge le vicende del giovane Natale De Santis che, divorato dal fuoco sacro della canzone, cerca d'incontrare il suo mito; ma non è solo la sua storia, questo libro racconta anche le vicende di una famiglia d'immigrati abruzzesi, che, completamente assorbiti dai sacrifici del ceto medio impiegatizio, incrociano i loro piccoli traguardi con le alterne vicende dei Leoni, commercianti ebrei, e degli Antei, integerrimi costruttori fascisti scivolati confortevolmente nei panni dei palazzinari democristiani. Il romanzo è il racconto di vite dedicate alla musica (Natale De Santis), alla politica (Romano Antei), al lavoro (Saul Leoni), agli affetti, nel travolgente contesto della dinamica Roma del secolo scorso.
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2. Marco Balzano, “Resto qui” (Einaudi)

L'acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale si trovano i resti del paese di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua materna è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora, per non perdere la propria identità, non resta che provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle, nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E così, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all'improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l'altro, la costruzione della diga che inonderà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine. Una storia civile e attualissima, che cattura fin dalla prima pagina.
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3. Ilaria Bernardini, “Faremo foresta” (Mondadori)

Tutto ha inizio nel giorno del disastro. Anna sta piangendo la fine del suo amore: lei e il papà di Nico, il loro bambino di quattro anni, hanno deciso di lasciarsi. Quel giorno Anna incontra per caso Maria, un'amica di sua sorella che non conosce bene. Mentre parlano, Maria comincia a stare molto male. Anna le tiene la mano, la guarda crollare, chiama i soccorsi. Solo dopo l'ambulanza, il ricovero, le telefonate, si scopre che Maria ha avuto un aneurisma cerebrale. Trascorre una lunga estate di convalescenza e dolore per entrambe. Come si fa a reimparare a uscire di casa e parlare con le persone dopo aver capito quanto vicina è la fine? Come si fa a dire a un bambino che il papà e la mamma non si amano più? La crisi economica ha intanto reso tutti più poveri, le meduse invadono i mari, si annuncia la fine del mondo e pure le piante sul terrazzo della nuova casa di Anna e Nico sono mezze morte. Attorno alle due donne, solo siccità, incertezza e paura. Finché, insieme, cominciano a occuparsi del terrazzo disastrato e, mentre Maria toglie il secco e il morto, pianta nuovi semi e rinvasa, Anna le prepara da mangiare. Così, stagione dopo stagione, la menta diventa verdissima e forte, il limone e il fico danno i frutti e spuntano i girasole. L'oleandro e il glicine s'infittiscono, arrivano le lucertole, le farfalle, e ogni mattina un merlo comincia a visitare Anna e Nico. Le due donne imparano a prendersi cura delle piante e l'una dell'altra. E proprio come il terrazzo, anche questa storia si fa sempre più rigogliosa, fino a trasformarsi in una foresta, talmente selvaggia da contenere le vicende di tutta l'eccentrica famiglia di Anna e persino quelle della buffa cartomante a cui lei si rivolge in cerca di aiuto. A partire da un dolore comune a tanti - la malattia, la fine di un matrimonio, un bambino da proteggere - Ilaria Bernardini inventa un alfabeto botanico-sentimentale con cui compone una formula magica dal potere universale. Con "Faremo Foresta" inauguriamo un movimento gentile, fatto di cura e mani nella terra, di attenzione e di presenza. Questo libro è molto più di una storia, è un inno alla vita, una dolce rivoluzione del pensiero, un mantra per sopravvivere alla siccità e fiorire nel deserto. Per, poi, fare foresta.
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4. Giorgio Biferali, “L’amore a vent’anni” (Tunué)

Giulio e Silvia abitano nella stessa via, ma si conoscono in facoltà. Lui, cresciuto insieme a due fratelli più grandi e genitori che stanno insieme da sempre, è ancora legato al ricordo di amori infantili fatti di sguardi fugaci e imbarazzi; lei, costretta a vivere con una madre che non sopporta, ha varie storie tormentate alle spalle e si crede ormai incapace di legarsi a qualcuno. Sullo sfondo di una Roma umorale e capricciosa, Giulio imparerà che l'amore è qualcosa di molto diverso da ciò che leggeva nei libri e vedeva nei film: è un nuovo modo di guardare il mondo e di sentire le cose, e una forza capace di trascinarti ovunque - anche a scoprire, in un fatale giorno di fine estate, il più inaspettato e beffardo dei segreti.
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5. Massimo Bubola, “Ballata senza nome” (Frassinelli)

È il 28 ottobre 1921. Siamo nella basilica di Aquileia. Gli occhi di tutti sono rivolti alle undici bare al centro della navata, e alla donna che le fronteggia: Maria Bergamas. Maria deve scegliere, tra gli undici feretri, quello che verrà tumulato a Roma, nel monumento al Milite Ignoto, simbolo di tutti i soldati italiani caduti durante la Grande Guerra. Maria passa davanti a ogni bara, e ognuna le racconta una storia. Sono vicende di giovani uomini, strappati alle loro famiglie, ai loro amori, ai loro lavori, finiti a morire in una guerra durissima e feroce: contadini e cittadini, borghesi e proletari, braccianti e maestri elementari, fornai, minatori, falegnami, muratori, veterinari e seminaristi che parlano in latino con il nemico ferito sul campo di battaglia. Attraverso le voci di questi soldati senza nome non solo riviviamo i momenti cruciali della Grande Guerra, non solo ci caliamo, in una vera trance empatica, nelle vite dei protagonisti, ma riscopriamo un'Italia che oggi si può dire definitivamente scomparsa.
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6. Gianfranco Calligarich, “Quattro uomini in fuga” (Bompiani)

Quattro sgangherati amici decidono di scrollarsi di dosso le nebbie e l'accidia del loro paesino padano per darsi all'Avventura e realizzare i propri sogni. Prima col rapimento di un toro da monta nascondendolo in un Jolly Hotel in attesa del riscatto, ma con drammatiche conseguenze, e poi levando le tende alla volta di Roma per fondare un teatro off. La voce di Casablanca, il più appartato dei quattro, narra quindi una tragicomica vicenda di donchisciotti votati ai fallimenti: Paolo, che data la sua somiglianza con Jack Palance ambisce ai riflettori del teatro e del cinema, Elio, basso botolo ringhioso segnato da una fatale avarizia, Sauro elegante ceramista mancato che le donne divorano con lo sguardo e infine Casablanca stesso, diventato regista per caso, impegnato in un difficile faccia a faccia con un suo protervo alter ego. L'inizio del teatro è disastroso ma poi entra in scena l'affascinante, ricchissimo N.N. che, pur tormentato da una crisi sentimentale, finanzia la loro impresa con la generosità di un mecenate d'altri tempi. Basterà il denaro a tenere insieme i quattro amici sempre in fuga da sé stessi e dalla realtà? A fare naufragare i loro sogni saranno i sentimenti, "quel candelotto di dinamite che ognuno si porta appresso dalle parti del cuore e sempre pronto a esplodere".
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7. Carlo Carabba, “Come un giovane uomo” (Marsilio)

Sono due le coincidenze da cui muove questa storia.Quella tra la caduta della neve su Roma, dopo più di vent'anni di attesa, e la scoperta che una giovane donna, Mascia, è in coma. E quella tra il funerale di Mascia, una decina di giorni più tardi, e la firma di un contratto di lavoro.Se la prima neve della vita del protagonista di questa storia, scesa sulla sua città quando era bambino, aveva portato con sé l'incanto, la seconda ha portato un incidente. Mascia, l'amica degli anni del liceo, è scivolata col motorino là dove la neve è caduta e si è sciolta. Questa seconda neve tanto desiderata, come se col bianco potessero tornare i giochi e le meraviglie dell'infanzia, invece di restituire il passato si porta via un pezzo di futuro. Perché Mascia muore per sbaglio, come pure si può morire, e non c'è altra spiegazione. Il protagonista parla con amici comuni, riceve e manda sms, inventa scuse, cerca ragioni ai propri pensieri e comportamenti, alle fughe e ai ritorni, e le trova, si colpevolizza, si assolve. Se Mascia, come tutti, muore sola, il protagonista di questo libro, come qualcuno, fa di tutto per restare, ancora un poco, solo con lei. Costruito come un labirinto che riproduce lo smarrimento di fronte al dolore, o come un videogioco che muove nello spazio ancora sconosciuto e pericoloso dell'età adulta, il romanzo segue i pensieri del protagonista, e di chi legge, intorno alla perdita di quelli che si amano e si ferma sul limite dell'amore umano che è quello, insopportabile, di non poterne impedire la morte. Con una lingua che analizza, immagina e riflette, che mescola Eta Beta alla Bibbia e The O.C. e Losta Proust e Peter Schlemihl, Carlo Carabba medita sul caso e il destino, il lutto e la crescita, e racconta quando finisce la giovinezza, perché si diventa adulti, e come restiamo vivi, nonostante il dolore nostro, e soprattutto, nonostante il dolore degli altri.
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8. Daniele Cavicchia, “Zeta l'ultima della fila” (De Felice Edizioni)

Sedici racconti (scritti nel periodo fine 2013 - inizio 2015) tra l'onirico e il visionario si susseguono e intersecano in modo solo in apparenza casuale. Immagini simbolico-metaforiche assumono le sembianze di oggetti, luoghi, personaggi che interagiscono in una dimensione surreale. Le scene si aprono su situazioni apparentemente comuni per poi prendere una piega inaspettata, dove i protagonisti per primi si stupiscono di ciò che sta accadendo. Si insinua il dubbio che si tratti di realtà, dell'unica possibile e che l'esistenza non possa essere altro che un sogno sognato da altri, la cui logica ci è incomprensibile.
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9. Severino Cesari, “Con molta cura” (Rizzoli)

"Io sono nient'altro che la cura che faccio. E non sono solo nel farla. La cura presuppone l'esercizio quotidiano dell'amore. Non c'è altra vita che questa, adesso, questa vita meravigliosa che permette altra vita. In una ghirlanda magica, un rimandarsi continuo. Mi travolge un'onda di gratitudine senza fine. Curarsi, praticare con metodo ed efficienza la cura che devi obbligatoriamente fare, vuol dire star bene, in linea di massima. L'esercizio quotidiano dell'amore, questo infine auguro a tutti, a tutte. Non c'è altro, credete. Se non avete sottomano l'opportunità di una cura da fare - scherzo, ma fino a un certo punto! - potete sempre però prendervi cura. Prendervi cura di voi stessi, e di quelli cui volete bene. E magari anche degli altri. Non c'è davvero altro, credete. Questo è davvero importante, penso allora: non è vita minore questa mia, che adesso mi è data, è vita e capacità e voglia di sorridere alla vita."
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10. Edoardo Chiti, “Atlas” (Round Robin Editrice)

Un traduttore e studioso di Shakespeare perde la vista durante una conferenza. Il disturbo è passeggero, ma precipita l'uomo in una spirale di eventi perturbanti, che minano alle fondamenta il suo mondo. Testo singolare, che sorprende e confonde allo stesso tempo, questo romanzo breve ha al suo centro una crisi identitaria e uno sperdimento che, sondato nel profondo, può cogliere ogni individuo. Atlas è un'interrogazione sulla vita da parte di un uomo ferito. Ma, nelle pagine finali, è anche la risalita alla superficie della realtà attraverso le parole che la compagna sussurra all'uomo sanguinante a terra. Sino al comandamento ultimo: tu ti alzerai di qui.
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11. Anne-Riitta Ciccone, “I’m. Infinita come lo spazio” (il Foglio)

"E un giorno, quando avrebbero scavato per costruire al suo posto una rampa di lancio per le navicelle spaziali che anche da lì, come da ogni cittadina del mondo, sarebbero potute partire per fare un week end sulla Luna, qualcuno con la stessa identica faccia di quell'uomo avrebbe trovato l'orologio. Lei no. Jessica figlia di sua madre, così come Aurora, non erano niente di tutto questo. Non c'erano fantasmi con il suo viso da nessuna parte, non c'erano tracce e linee rette percorse per secoli e millenni dal sangue del suo sangue, case costruite dalle mani di qualcuno che portasse il suo cognome e in cui oggi lei vivesse. Loro erano alieni di un altro pianeta e questa era cosa che tutti ci tenevano a sottolineare, sempre."
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12. Marco Ciriello, “Un giorno di questi” (Rubbettino)

"Un giorno di questi" è un'immersione nella Napoli del decennio Ottanta - quella violentissima ed euforica che va da Cutolo a Troisi - con una breve parentesi romana tra l'onirico e il ministeriale, tra Fellini e il borghese piccolo piccolo. Attraverso lo sguardo di un giornalista di cronaca nera si assiste all'inesorabile mutazione della città: dal fumo di contrabbando che dalle strade arriva nelle redazioni; al rapporto umano, ancora possibile, con gli ultimi guappi; fino all'arrivo della Nuova Camorra, la stessa che uccide Giancarlo Siani, raccontato qui secondo un'altra verità, quella prima affiorata e poi sommersa. Intanto, chi registra, vede scorrere avvenimenti e persone, morti, agguati e partite. Un romanzo per giorni, ogni frammento uno di questi, passati incontrando i fratelli Giuliano, Maradona, il principe di Sansevero, Nicola Pugliese, Franco Califano, Nunzio Gallo, Joe Marrazzo, Enzo Biagi. Poi il distacco e l'approdo nella capitale, a un nuovo giornale, con altre scene e altri incontri (qui si vedono De Michelis, Zeffirelli, la Pivano, la spiaggia di Ostia senza Pasolini, addirittura Marco Polo e Pablo Escobar). Infine il ritorno a Napoli, da straniero, del protagonista. Un racconto lieve, dolente, ironico, nostalgico e vitale.
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13. Mario Collarile, “Il terzo padre” (Historica Edizioni)

Le storie di donne adottate, figlie di madri biologiche che hanno deciso di rimanere nell'anonimato, si assomigliano quasi tutte. Sono il più delle volte storie di ragazze sedotte e abbandonate, di povertà, di ignoranza, di potere, nelle quali è sempre il più forte ad avere la meglio. Se le storie si assomigliano, però, le conclusioni spesso sono diverse. In un susseguirsi di indagini a tinte gialle e ai margini della legalità, che spesso riveleranno realtà sconcertanti, le tre protagoniste del romanzo - l'adottata, l'avvocata e l'amica - entreranno in un vortice di emozioni alla ricerca di un passato lontano ma forse non ancora perduto.
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14. Maurizio Cotrufo, “Il pescatore gentiluomo” (Editoriale Scientifica)

Quante possibilità hanno di incontrarsi un marlin, leggendario dominatore degli oceani, adottato dalla letteratura, e la timida pezzogna, più nota dagli amanti della tavola che per le sue imprese pelagiche? Poche. O meglio, pochissime. Frequentatore degli oceani l’uno, abitante del Tirreno l’altra, difficilmente incrociano le loro strade. Eppure, esiste un punto del mare in cui questo incontro può avvenire. A volte il marlin, stanco delle sue peregrinazioni oceaniche, si rifugia nel calmo Mediterraneo. Ed altre la pezzogna, tenace esploratrice di più quieti fondali, se ne scappa verso i mari del Nord. Se succede questo può succedere anche altro. Che un medico di fama internazionale, tra le scoperte scientifiche, i viaggi e i successi, possa imbattersi in un pescatore di Capri, uomo semplice e immensamente saggio. E che tra loro nasca un’amicizia istintiva, un’affinità di anime, un legame autentico. Che si consuma durante le battute di pesca, passione comune. E poi tra traversate avventurose e chiacchiere sulla vita, risate e cene luculliane, yacht e donne fatali. Sempre sul mare, a bordo della loro 'cianciola’, una speciale barca da pesca. Il pescatore gentiluomo racconta un mondo dove è celebrata la vita libera ed essenziale. A contatto con la natura e i suoi elementi. Perché poi, quello che conta, è «avere davanti a sé il sole rosso di un tramonto di mezza estate».

(tratto da editoriale scientifica)
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15. Carlo D'Amicis, “Il gioco” (Mondadori)

La cosa più affascinante del sesso non è il sesso, ma tutto ciò che gli ruota attorno: in una sola parola, la vita. È per questo che Leonardo, Eva e Giorgio, dovendo parlare di sesso, raccontano le rispettive esistenze (audaci e innocenti allo stesso tempo) a un intervistatore che vorrebbe scrivere un libro sul piacere, e che invece si ritrova in continuazione a fare i conti con il loro dolore. Del resto, nel gioco erotico, tutto è così terribilmente intrecciato: non solo il piacere e il dolore, ma anche la trasgressione e le regole, la libertà e il possesso, l'eccitazione e la noia, l'io e la maschera. Quelle che i nostri eroi indossano in questo romanzo corrispondono ai tre ruoli chiave del gioco: Leonardo (nome in codice: Mister Wolf) è il bull, maschio alfa che applica al sesso seriale la disciplina e la meticolosità degli antichi samurai, Eva (la First Lady) è la sweet, regina e schiava del desiderio maschile, Giorgio (il Presidente) è il cuckold, tradito consenziente che sguazza nella sua impotenza ma non rinuncerebbe mai a manovrare i fili. Insieme formano il triangolo più classico e scabroso dell'intera geometria erotica, quello in cui l'ossessione maschile di possedere e offrire l'oggetto del proprio desiderio s'incastra con l'aspirazione della donna ad appartenere, finalmente, solo a se stessa. Recitano dei ruoli, Mister Wolf, la First Lady e il Presidente. Ma quanto più il corpo è il loro abito di scena, tanto più la loro anima si denuda, rivelando ai nostri occhi l'umanità struggente, tenera, e talvolta esilarante, di tre protagonisti fuori dagli schemi, eppure così simili a ciascuno di noi.
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16. Sergio De Santis, “Non sanno camminare sulla terra” (Mondadori)

1896: Gualtiero è un illustre professore di chimica, ambizioso e pieno di ideali, che guarda con rassegnazione i propri figli avviarsi verso incerti destini. Un secolo dopo, Daniele, un suo discendente, trascorre la quotidianità ben lontano da quegli ideali, forse anche a causa del suo strano lavoro. Con alcuni colleghi, in un anonimo ufficio perso nella campagna romana, distrugge documenti spesso inquietanti, vecchi verbali della questura o ancor più misteriosi rapporti riservati. Daniele è separato e ha un figlio che vede poco o nulla, dotato di un'intelligenza straordinaria. Da alcuni anni si è appartato a vivere in un borgo di pietre sormontato da un castello, che da un millennio tiene stretta a sé una collina di olivi. Gli alberi digradano verso valle facendo finta di non accorgersi della grande città che, giorno dopo giorno, si avvicina con il suo cemento. In questo scenario idilliaco, sospeso nel tempo, Daniele prova a venire a patti con se stesso. E lo fa attraverso un silenzioso confronto con i colleghi - Lucia, una donna piena di vita impegnata nella scelta delle proprie illusioni; Ico, un uomo burbero sempre in lotta con tutti - e soprattutto attraverso la ricostruzione del proprio passato e degli ideali che hanno mosso i suoi antenati, lungo l'arco del Novecento. Gradualmente, Daniele si convincerà sempre più che ogni tentativo di cambiare il mondo debba partire dall'impegno di cambiare se stessi. E saranno proprio gli olivi e i contadini, loro padroni e custodi, a insegnargli a non continuare a inciampare nelle fragilità e nelle vicissitudini della sua famiglia. Con la leggerezza di una favola e la profondità di un racconto filosofico, Sergio De Santis mette in scena le vicende di una famiglia attraverso i nodi cruciali della Storia del nostro Paese, ma soprattutto mostra i turbamenti dell'uomo moderno, alla costante ricerca della propria dimensione esistenziale.
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17. Gianfranco Di Fiore, “Quando sarai nel vento” (66th and 2nd)

Abele ha lasciato il Cilento per studiare i venti sulle montagne abruzzesi. Da una stazione meteo in cui le strumentazioni adeguate sembrano non arrivare più, si stende un paesaggio quasi lunare, devastato dal sisma e spopolato tanto di individui quanto di umane speranze. Abele allora occupa il tempo guardando le pendici cangianti del Gran Sasso, auscultando con uno stetoscopio elettronico il brusio sommerso della Terra e scattando fotografie alla sua «mano guasta». Quando scende da quell'eremitaggio accademico, si divide tra la stanza in affitto dagli Hensel - una coppia di vecchi ebrei che usano la crudeltà come moneta di scambio col mondo -, qualche rave in cui l'ecstasy allontana e scolla il rapporto tra percezioni e realtà, e le ore passate a fantasticare di un film sul vento con Marlena, la desolata Beatrice che diventa a poco a poco la regina di quell'universo in attesa. A spezzare quella stagnante bonaccia - interiore ed esteriore - il passato che torna e la necessità di un viaggio che porterà Abele alla ricerca del padre tra l'Argentina, New York e Parigi. Un viaggio intrapreso con Marlena, sotto i cui passi esiste «solo il silenzio della grazia», ma ugualmente composto di solitudine e inerzia: il vento è ormai scomparso e, senza la sua spinta, l'umanità terrigna che accompagna le scoperte di Abele, l'odore acre degli incendi che devastano il Sud del Pianeta, le lotte di ecologisti in tuta bianca e maschera antigas che si ispirano a Walt Whitman, rimangono sospesi, avvolti da sonorità limpide e luci inflessibili, come tante istantanee in lotta contro tutto ciò che passa, si dissolve, si dimentica. «Quando sarai nel vento» è una sinfonia in quattro movimenti in cui ogni motivo - esposto, sviluppato e ripreso - è un carotaggio delle infinite vibrazioni che agitano noi e il mondo; raramente all'unisono ma sempre in attesa della chiave che le doti di un ordine, di una cadenza che le restituisca all'armonia.
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18. Silvia Ferreri, “la madre di Eva” (Neo Edizioni)

Una madre parla alla figlia tra le mura di una clinica serba. Al di là di una porta stanno preparando la sala operatoria. Eva ha appena compiuto diciotto anni e da quando è nata aspetta questo momento. Vuole cambiare sesso sottoponendosi all'intervento che la renderà come si è sempre sentita: uomo. Sua madre le parla col corpo, perché è il corpo ad essere sbagliato, ingannevole, traditore, un corpo come il suo che la natura stessa vuole negare. In un dialogo senza risposte, sospeso tra l'immaginato e il reale, la madre racconta la loro vita fino a quel momento, ne ripercorre i sentieri come muovendosi in una terra straniera. La sua voce è concreta, toccante, vivida e parla di una lotta che non ha vincitori né vinti, per cui non esiste resa, in cui la forma più pura dell'amore diventa bifronte e feroce.
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19. Patrick Fogli, “A chi appartiene la notte” (Baldini+Castoldi)

Irene Fontana è una giornalista d'inchiesta, messa fuori gioco dalla sua ostinazione a svelare corruzioni e tutelare i diritti dei cittadini. La Contessa è la casa di sua nonna, la casa delle sue vacanze di bambina. Due piani in sasso e una mansarda, in cima a una delle colline dell'Appennino reggiano. Su tre lati, ettari di campi a coltivazione. Sul quarto, il bosco, l'unica terra che non le appartiene. E tornata a vivere lì. Tutto il suo mondo era crollato in meno di un mese e in quello che restava non c'era nulla che le interessasse. Così, ha ricominciato dall'inizio. Filippo cade dalla Pietra di Bismantova una notte d'estate. Irene è lì, per puro caso, il giorno dopo, quando rimuovono il suo corpo. La madre del ragazzo non crede al suicidio e chiede aiuto a Irene. Lei parte dalla vita di Filippo, dai suoi amici, dalle sue frequentazioni. Scopre un locale, lo Snoopy, dove nel giorno di chiusura si organizzano festini piuttosto estremi. Incontra un uomo, il Pittore, un artista che vive isolato in una casa museo, in compagnia delle sue sculture da incubo. Questa è, in verità, solo una parte di un quadro ben più complesso che parte da lontano. Un patto fondato nel dopoguerra per garantire prosperità. Cinque famiglie, in cinque frazioni diverse dell'Appennino, giovani vite in cambio di un futuro più saldo. «Uno per generazione, perché il patto si trasmette e si eredita. Una vita per la vita di tutti. Bisogna prenderli giovani, quando hanno tutta la vita davanti, il potenziale integro.» Inseguire la vita di Filippo si trasforma in una discesa all'inferno. Ma ciò che appartiene alla notte, appartiene alla notte, le illusioni durano un istante e quando se ne vanno non sono mai esistite. Come i sogni, i miraggi, i miracoli, i demoni.
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20. Dori Ghezzi, Giordano Meacci, Francesca Serafini, “Lui, io, noi” (Einaudi Stile Libero)

L'infanzia di Dori e quella di "Bicio", che mostra come la storia sia sempre stata una sola, anche quando loro non si conoscevano. Il primo incontro, a un premio musicale vinto da entrambi, durante il quale non smettevano di guardarsi. La nascita della figlia Luvi e la quotidianità campestre in Gallura. I mesi del sequestro, in cui a sostenerli fu proprio quel legame "fermo, limpido e accecante" che sarebbe continuato oltre il tempo. Un tempo sempre scandito dalla magia degli incontri: da Marco Ferreri a Lucio Battisti, da Cesare Zavattini a Fernanda Pivano. Tra bambine che chiacchierano con Arturo Toscanini e bambini che bevono cognac sotto i bombardamenti. Tra cuccioli di tigre allevati in salotto e un viaggio in nave con un toro limousine. Scritto assieme agli sceneggiatori di "Principe libero", il film TV sul cantautore, "Lui, io, noi" è una storia privata che s'intreccia con quella pubblica di chi, da sessant'anni, ascolta De André. Soprattutto è il racconto intimo, commovente, a tratti perfino buffo, di un grande amore.
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21. Helena Janeczek, “La ragazza con la Leica” (Guanda)

Il 1° agosto 1937 una sfilata piena di bandiere rosse attraversa Parigi. È il corteo funebre per Gerda Taro, la prima fotografa caduta su un campo di battaglia. Proprio quel giorno avrebbe compiuto ventisette anni. Robert Capa, in prima fila, è distrutto: erano stati felici insieme, lui le aveva insegnato a usare la Leica e poi erano partiti tutti e due per la Guerra di Spagna. Nella folla seguono altri che sono legati a Gerda da molto prima che diventasse la ragazza di Capa: Ruth Cerf, l'amica di Lipsia, con cui ha vissuto i tempi più duri a Parigi dopo la fuga dalla Germania; Willy Chardack, che si è accontentato del ruolo di cavalier servente da quando l'irresistibile ragazza gli ha preferito Georg Kuritzkes, impegnato a combattere nelle Brigate Internazionali. Per tutti Gerda rimarrà una presenza più forte e viva della celebrata eroina antifascista: Gerda li ha spesso delusi e feriti, ma la sua gioia di vivere, la sua sete di libertà sono scintille capaci di riaccendersi anche a distanza di decenni. Basta una telefonata intercontinentale tra Willy e Georg, che si sentono per tutt'altro motivo, a dare l'avvio a un romanzo caleidoscopico, costruito sulle fonti originali, del quale Gerda è il cuore pulsante. È il suo battito a tenere insieme un flusso che allaccia epoche e luoghi lontani, restituendo vita alle istantanee di questi ragazzi degli anni Trenta alle prese con la crisi economica, l'ascesa del nazismo, l'ostilità verso i rifugiati che in Francia colpiva soprattutto chi era ebreo e di sinistra, come loro. Ma per chi l'ha amata, quella giovinezza resta il tempo in cui, finché Gerda è vissuta, tutto sembrava ancora possibile.
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22. Sergio Lambiase, “Adriana cuore di luce” (Bompiani)

Adriana Capocci Belmonte muore nel 1944 nella Napoli incandescente raccontata da Curzio Malaparte ne "La pelle": ha solo ventisei anni, e il destino non le concede nemmeno di veder finire la guerra. Erede di una famiglia aristocratica, bellissima e sofisticata, la treccia fulva che le incornicia il viso, Adriana cuore di luce è innamorata della vita, del sapere, dei vagabondaggi in terre lontane. La sua grande amica-sorella è la scrittrice Anna Maria Ortese, che la immortalerà col nome di Aurora Belman nel romanzo "Il porto di Toledo". Di ogni luogo, di ogni incontro, di ogni passione Adriana racconta nelle sue lettere, nei taccuini di viaggio e in un febbrile diario intimo riportato alla luce dalla nipote Silvana de Luca. È dalla sua voce che giunge così fino a noi l'emozione degli incontri con Alberto Moravia, con il pittore Enrico Prampolini che le dedicherà nel 1941 uno sfolgorante ritratto, con Franco Fortini, con Paolo Monelli, con lo scrittore indiano Soumy Tagore, con il compositore Konrad Lechner, infine con il giovane storico Aldo Romano che si rivelerà una personalità molto più irta di contraddizioni di quanto la fervida Adriana pensasse. Attingendo alla ricca messe di inediti ritrovati, ricostruendo per noi l'universo culturale che circonda la loro autrice, Sergio Lambiase riporta in vita in queste pagine una ragazza vicina a noi per sensibilità, intelligenza, capacità di cogliere ogni attimo nella sua irripetibile ricchezza.
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23. Lia Levi, “Questa sera è già domani” (Edizioni e/o)

Genova. Una famiglia ebraica negli anni delle leggi razziali. Un figlio genio mancato, una madre delusa e rancorosa, un padre saggio ma non abbastanza determinato, un nonno bizzarro, zii incombenti, cugini che scompaiono e riappaiono. Quanto possono incidere i risvolti personali nel momento in cui è la storia a sottoporti i suoi inesorabili dilemmi? È possibile desiderare di restare comunque nella terra dove ci sono le tue radici o è urgente fuggire? Se sì, dove? Esisterà un paese realmente disponibile all’accoglienza? Alla tragedia che muove dall’alto i fili dei diversi destini si vengono a intrecciare i dubbi, le passioni, le debolezze, gli slanci e i tradimenti dell’eterno dispiegarsi della commedia umana. Una vicenda di disperazione e coraggio realmente accaduta, ma completamente reinventata, che attraverso il filtro delle misteriose pieghe dell’anima ci riporta a un tragico recente passato.
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24. Loredana Lipperini, “L'arrivo di Saturno” (Bompiani)

Graziella De Palo è una giovane giornalista innamorata della giustizia quando il 2 settembre 1980 scompare a Beirut assieme al collega Italo Toni. Dovevano visitare dei campi profughi al confine con la Palestina, ma seguivano in realtà una pista sul traffico d'armi intrecciata con le vicende del terrorismo, delle stragi e con parecchi misteri della politica italiana e internazionale dell'epoca. Di loro non si è saputo più nulla. Han van Meegeren è un pittore olandese di scarsa fortuna, noto e dileggiato per le sue rose grigie, quando accetta da un uomo in nero un incarico bizzarro: dipingere un Giudizio Universale in una cappella battuta dal vento sulla cima di un colle italiano. Purché sia un Giudizio di Vermeer. Suo, ma di Vermeer. Chi è l'uomo in nero che si fa chiamare semplicemente Acca? E perché gli chiede di diventare un falsario, come di fatto accadrà? Dora, la voce narrante di questo romanzo, è cresciuta insieme a Graziella. "Eravamo di quelle amiche che sono sempre insieme, che non riescono a stare lontane neanche per un pomeriggio. E invece ci siamo allontanate, e quando ci siamo allontanate lei è morta. E la sua storia, il modo in cui è morta, è talmente assurda che se la raccontassi non ci crederebbe nessuno. Così ho cominciato a scriverne un'altra, che è davvero assurda, ma se un romanzo è assurdo tutti ci credono. La realtà invece non interessa a nessuno". Due romanzi in uno, una doppia vicenda nata da un dolore mai sopito che mescola fatti reali e invenzione, memoria di un'amicizia e mito, ed elaborata con l'abilità di chi da sempre cerca e trova nella narrazione propria e altrui una profonda ragione di vita. Perché "noi volevamo essere ingannate, tutte e due: Graziella dalla ricerca della verità, io dalla ricerca della finzione, che è parente stretta del falso anche se si chiama letteratura".
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25. Elvis Malaj, “Dal tuo terrazzo si vede casa mia” (Racconti Edizioni)

Fra due case che si vedono l'un l'altra potrebbe esserci una strada. Lastricata e sicura, a volte, ma più spesso tortuosa, o liquida come il mare fra l'Italia e l'Albania. La via fra le sue onde è faticosa come una lingua da imparare, andando e tornando, pensando una cosa e dicendone un'altra. Ma non sono soltanto le parole a mutare, ad assumere nuovi significati in questo relato sono i fatti stessi e le persone che troviamo sul cammino. Sempre a metà del guado, Elvis Malaj ci restituisce qualche tappa di questo percorso: due mondi, due lingue, fra noi e loro, me e te. Declinazioni dell'inadeguatezza - per forza di cose - poiché a camminare in cima al bordo si finisce per barcollare, e non corrispondere ad alcuna definizione. E così una prima volta non sarà mai abbastanza bella, o abbastanza prima, un approccio mai abbastanza azzeccato, una battuta mai capita fino in fondo, e una metafora? O troppo astratta o presa troppo alla lettera. E qualche volta, per evitare il confronto, si chiederà scusa e si scapperà via approfittando di un incidente; oppure si preferirà il silenzio sin da subito e l'incidente lo si andrà a cercare. Si indosserà una maschera per diventare le persone che vogliamo. Perché il confine, sfumando, è tra finzione e realtà. "Dal tuo terrazzo si vede casa mia" è l'invito a venire dall'altra parte, a scendere di casa e passare per quella strada. Un'istanza di condivisione e meticciato, di sguardo altro, di cui sentiamo il richiamo.
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26. Elena Mearini, “È stato breve il nostro lungo viaggio” (Cairo)

Cesare Forti, cinquant'anni, ha ottenuto tutto il meglio dalla vita. Ha una famiglia felice, una posizione sociale invidiabile, tante persone attorno che in lui ritrovano l'uomo ideale. Ma questa favola positiva nasconde una realtà individuale assai diversa. Cesare non è l'uomo che appare, lui è altro dalla compiutezza, altro dalla forza. Saranno una donna e un ragazzino a rivelare la sua natura. Saranno una morte prima e un ricatto poi a porre il protagonista con le spalle al muro, faccia contro la verità. Cadono le maschere, e Cesare per la prima volta incontra il proprio volto. Quello vero, nudo, che non lascia via di fuga. Un uomo a metà, un padre interrotto.
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27. Francesca Melandri, “Sangue giusto” (Rizzoli)

Roma, agosto 2010. In un vecchio palazzo senza ascensore, Ilaria sale con fatica i sei piani che la separano dal suo appartamento. Vorrebbe solo chiudersi in casa, dimenticare il traffico e l'afa, ma ad attenderla in cima trova una sorpresa: un ragazzo con la pelle nera e le gambe lunghe, che le mostra un passaporto. «Mi chiamo Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti» le dice, «e tu sei mia zia.» All'inizio Ilaria pensa che sia uno scherzo. Di Attila Profeti lei ne conosce solo uno: è il soprannome di suo padre Attilio, un uomo che di segreti ne ha avuti sempre tanti, e che ora è troppo vecchio per rivelarli. Shimeta dice di essere il nipote di Attilio e della donna con cui è stato durante l'occupazione italiana in Etiopia. E se fosse la verità? E cosi che Ilaria comincia a dubitare: quante cose, di suo padre, deve ancora scoprire? Le risposte che cerca sono nel passato di tutti noi: di un'Italia che rimuove i ricordi per non affrontarli, che sopravvive sempre senza turbarsi mai, un Paese alla deriva diventato, suo malgrado, il centro dell'Europa delle grandi migrazioni.
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28. Angela Nanetti, “Il figlio prediletto” (Neri Pozza)

È una sera di giugno del 1970 in un piccolo paese della Calabria, Nunzio e Antonio hanno vent'anni e si amano, in segreto, da due mesi. Il loro amore si consuma dentro la vecchia Fiat del padre di Antonio, parcheggiata in uno spiazzo abbandonato. Ma, proprio quella notte d'estate, tre uomini incappucciati e armati trascinano Antonio fuori dall'auto, colpendolo fino a quando il giovane non giace a faccia in giù e a braccia aperte, come un Cristo in croce. Tre giorni dopo Nunzio Lo Cascio sparisce dal paese, messo su un treno che da Reggio Calabria lo conduce lontano, a Londra. Il mondo, all'improvviso, gli ha mostrato il volto più feroce, quello di un padre e due fratelli che «gli hanno spezzato le ossa a una a una» per punirlo del suo "peccato". Nulla sembra avere più senso per il ragazzo: la fiducia negli uomini, la speranza di un futuro, la sua stessa identità. Di lui rimane soltanto la foto del campionato del '69, appesa nella pescheria dei genitori, che lo ritrae con tutta la squadra sul campo dopo la vittoria, promessa mancata del calcio. A interrogarsi sulla vita di Nunzio è anni dopo sua nipote Annina, che sente di avere con quello zio mai conosciuto, di cui nessuno in famiglia parla volentieri, inspiegabili affinità. Anche Annina, sebbene in modo diverso, si trova a combattere con un padre violento e prevaricatore e con la stessa realtà chiusa del paese, in cui una ragazza non ha altre possibilità che essere una «femmina obbediente». E, come Nunzio, scoprirà la dolorosa necessità di riprendersi il mondo, ribellarsi ai pregiudizi e lottare per la propria libertà.
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29. Sergio Livio Nigri, “Il marito paziente” (Biblioteca dei Leoni)

Introducendo questo romanzo l’autore si augura “che nessuno pretenda di riconoscersi”, forse perché non pochi sono i mariti che portano pazienza lamentandosi delle rispettive consorti. Considerando il romanzo nel suo insieme c’è da rilevare una struttura anomala, indubbiamente originale, in cui si intrecciano messaggi e oroscopi in un contesto temporale che parte dal 1973. Il protagonista ha scelto una moglie assai più giovane di lui, e questa può essere un’arma a doppio taglio. Ma è il rapporto con Serena a risultare piuttosto complicato, con vari periodi e anche ritorni, in un alternarsi di situazioni senza avere certezze. Siamo nel 1978, l’autore scrive in questa specie di diario annuale: “Nelle parole diverse mi ritrovo uguale, neppure di un capello sono mutato” e ciò indica uno stile, se pur non conosciamo i precedenti lavori di Nigri. Se l’idea rimane pressoché identica, è l’aspetto corporeo a cambiare, poiché il tempo passa e lo stesso protagonista se ne accorge (1990). Quindi, e siamo nel 2000, “lottare con l’invecchiamento” è sempre una battaglia persa. Poi si va in pensione nel 2006 e parafrasando le intenzioni espresse potremmo dire: così deve essere (Ess muss sein). Uno spunto sulla editoria di oggi lo troviamo nel decimo capitolo, e in effetti non siamo lontani dal vero. Le ultime tre pagine rappresentano una summa del romanzo: tanti sono i modi per esprimere quella malinconia che troviamo in ogni rapporto d’amore.

(recensione tratta da literary)

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30. Paolo Onori, “Fare pochissimo” (Marcos y Marcos)

Un autobus con dei passeggeri che a guardarli sembra che dicano tutti "Anche da lontano, si vede, che non mi vuoi più bene", una collega che quando la chiamano al telefono lei dice «Obitorio, buongiorno», una moglie con cui non si è sposati che è grama come le verze bagnate, una barista che quando le chiedi un toast ti chiede se te lo deve scaldare, una figlia che sa a memoria una canzone di Orietta Berti, un prete russo che sta cercando di avviare il processo di beatificazione di Stalin, un avvocato che imita Gianni Agnelli e telefona ai suoi clienti alle sei e quaranta del mattino, un insegnante di religione cattolica che, quando si va a confessare, il primo peccato che dice è: «Insegno la religione cattolica», una collega appassionata di trapani che ha un dogo argentino che si chiama Satana, un protagonista convinto che la vita è orribile e meravigliosa: tutte queste cose, e qualche altra ancora, forse fanno un libro che, se uno ha un po' di pazienza, forse riesce a leggerlo dall'inizio alla fine.
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31. Sandra Petrignani, “La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg” (Neri Pozza)

Dalla nascita palermitana alla formazione torinese, fino al definitivo trasferimento a Roma, Sandra Petrignani ripercorre la vita di una grande protagonista del panorama culturale italiano. Ne segue le tracce visitando le case che abitò, da quella siciliana di nascita alla torinese di via Pallamaglio - la casa di "Lessico famigliare" - all'appartamento dell'esilio a quello romano in Campo Marzio, di fronte alle finestre di Italo Calvino. Incontra diversi testimoni, in alcuni casi ormai centenari, della sua avventura umana, letteraria, politica, e ne rilegge sistematicamente l'opera fin dai primi esercizi infantili. Un lavoro di studio e ricerca che restituisce una scrittrice complessa e per certi aspetti sconosciuta, cristallizzata com'è sempre stata nelle pagine autobiografiche, ma reticenti, dei suoi libri più famosi. Accanto a Natalia - così la chiamavano tutti, semplicemente per nome - si muovono prestigiosi intellettuali che furono suoi amici e compagni di lavoro: Calvino appunto, Giulio Einaudi e Cesare Pavese, Elsa Morante e Alberto Moravia, Adriano Olivetti e Cesare Garboli, Carlo Levi e Lalla Romano e tanti altri. Perché la Ginzburg non è solo l'autrice di un libro-mito o la voce - corsara quanto quella di Pasolini - di tanti appassionati articoli che facevano opinione e suscitavano furibonde polemiche. Narratrice, saggista, commediografa, infine parlamentare, Natalia è una "costellazione" e la sua vicenda s'intreccia alla storia del nostro paese (dalla grande Torino antifascista dove quasi per caso, in un sottotetto, nacque la casa editrice Einaudi, fino al progressivo sgretolarsi dei valori resistenziali e della sinistra). Un destino romanzesco e appassionante il suo: unica donna in un universo maschile a condividere un potere editoriale e culturale che in Italia escludeva completamente la parte femminile. E donna vulnerabile, e innamorata di uomini problematici. A cominciare dai due mariti: l'eroe e cofondatore della Einaudi, Leone Ginzburg, che sacrificò la vita per la patria, lasciandola vedova con tre figli in una Roma ancora invasa dai tedeschi, e l'affascinante, spiritoso anglista e melomane Gabriele Baldini che la traghettò verso una brillante mondanità: uomini fuori dall'ordinario ai quali ha dedicato nei suoi libri indimenticabili ritratti.
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32. Letizia Pezzali, “Lealtà” (Einaudi Stile Libero)

Il desiderio non si impara e non è prevedibile. Esplode, crolla o si consolida seguendo percorsi caotici, come i mercati finanziari. Eppure contiene la nostra storia. Questa, almeno, è l'esperienza di Giulia, trentaduenne che lavora a Londra in una banca d'affari, un luogo fondato su regole quasi religiose dove lei si muove lontana dalla felicità ma non a disagio. Il contesto in cui vive è particolare: molto denaro, pochissimo tempo libero, rapporti che, fatta eccezione per il sesso, mirano soprattutto al mantenimento della reputazione. Un ecosistema privilegiato che il resto della società, estranea ai grattacieli di Canary Wharf, il grande centro direzionale sulle rive del Tamigi, guarda con sospetto. In quello stesso mondo, prima del suo arrivo, conduceva la propria esistenza anche Michele, un uomo sposato verso cui al tempo dell'università, a Milano, lei aveva sviluppato un'ossessione sentimentale ed erotica. Michele si è licenziato, il motivo reale nessuno lo conosce, ma in qualche modo nella sua scelta c'entra Seamus, il brillante capo di Giulia, che in un mattino speciale, dalla colorazione esasperata e incerta, pronuncia il suo nome. L'effetto è quello di un vaso che si apre. In maniera compulsiva Giulia si trova a ripercorrere una vicenda che credeva sepolta, a indagare la dimensione emotiva del dolore e dell'amore, la loro origine genetica. A interrogarsi sulla fragilità che, al di là delle differenze, al di là delle generazioni e delle consuetudini, ci riguarda tutti in quanto esseri umani.
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33. Andrea Pomella, “Anni luce” (ADD Editore)

Ci sono i Pearl Jam, ci sono anni senza pace in cui il mondo lascia indifferenti, c'è Q, il chitarrista incontrato per caso con cui capirsi è facile e con cui si condivide tutto. E poi c'è un viaggio - insensato e indimenticabile - attraverso l'Europa, muovendosi di notte, tornando a casa per comprare il whisky dove costa meno, per rimettersi in marcia un minuto dopo rifacendo la rotta al contrario, con lo zaino di nuovo pieno di bottiglie, per mille chilometri, e altri mille ancora. Anni luce è un romanzo che racchiude una passione inquieta e guarda nel vuoto di una generazione che nel grunge si è riconosciuta in modo quasi simbiotico.
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34. Luca Ricci, “Gli autunnali” (La nave di Teseo)

Un uomo, al rientro dalle vacanze d'agosto, è prigioniero del suo stanco rapporto matrimoniale. La moglie Sandra è ancora bella, ma lui non riesce più a provare desiderio per lei. Durante una passeggiata solitaria in un mercatino di Roma, l'uomo viene attratto da un vecchio volume sugli artisti di Montmartre, e rimane stregato dall'immagine di Jeanne Hébuterne, la compagna di Amedeo Modigliani. Scocca un particolare colpo di fulmine e Jeanne diventa per il narratore un'ossessione. L'uomo strappa la foto, la piega con cura e inizia a portarla sempre con sé, nella propria tasca. Tutto sembra avvenire soltanto nella sua mente, almeno fin quando sua moglie Sandra non invita a cena una vecchia cugina, Gemma, che all'uomo appare identica in tutto e per tutto a Jeanne. E l'ossessione inizia a riversarsi nella realtà, fatalmente, mentre l'autunno romano avvolge le cose nella sua luce struggente e diafana.
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35. Andrea Salonia, “Domani, chiameranno domani” (Mondadori Electa)

Augusto C. è esperto dell'acciaio, sa riconoscere "l'odore degli altoforni, il rosso del fuoco, l'arancio caldo del metallo fuso, il crepitio del farsi materia solida e il suono delle sirene d'allarme" dell'acciaieria di cui è direttore, la più grande e importante d'Italia. In fabbrica, i suoi dodicimila dipendenti sanno tutto di lui: quando entra in ufficio, quale macchina guida, se è al cellulare e "se bestemmia il cielo e urla". Eppure adesso non sanno se piange la sera, e di certo non possono immaginare come trascorre le sue giornate senza fine, recluso in casa agli arresti domiciliari, accusato di aver riversato materiali dannosi per gli uomini, gli animali, i terreni e le acque attorno alla fabbrica. In bilico tra speranza e rassegnazione; ogni giorno Augusto attende che gli inquirenti lo chiamino e gli diano l'opportunità di raccontare la sua versione dei fatti, di spiegare le sue ragioni. È un'attesa straziante, la sua, fatta di rituali semplici, di passi lenti e precisi che a piedi nudi calpestano ogni singolo metro quadrato del suo appartamento; è fatta del ricordo del padre e della sua Bianchi colore del cielo, di leggende popolari che riaffiorano da un passato remoto. È un'attesa fatta di sapori, odori, colori e suoni del suo Salento, dei suoi ulivi e del colore intenso, quasi nero, del Primitivo. Con una lingua che ammalia, nella quale riecheggiano i ritmi e i suoni di un mondo arcaico e immortale, Andrea Salonia dà voce alle inquietudini di un uomo che nel confronto con il suo passato, con le sue speranze e con l'incorporeità dell'attesa tenta di scendere a patti con un drammatico presente.
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36. Isabella Schiavone, “Lunavulcano” (Lastaria)

Tra realtà e finzione, la storia di un vero "rompicapo" esistenziale che dalla tastiera dello smartphone attraversa i vicoli tranquilli di un piccolo paese di provincia e le strade caotiche di una metropoli, fino a raggiungere il cuore dell'Africa. Due donne si sfidano quasi ogni sera sulla schermata online di Ruzzle, nella ricerca agguerrita del più alto numero di parole di senso compiuto. Non si sono mai viste. Giorno dopo giorno, partita dopo partita, nasce la curiosità di conoscersi. Cominciano così a chattare e a raccontarsi reciprocamente. Sono messaggi brevi, scritti perlopiù fugacemente, che però colgono l'essenza delle confidenze più intime. Emergono, così, desideri ed emozioni appartenenti a vite molto diverse. Due esistenze che scorrono parallele, combinandosi e scomponendosi a colpi di parole: Isabella è una giornalista impegnata nel sociale e sempre in viaggio. L'Africa è nel suo cuore. Alla soglia dei quarant'anni, non ha figli, e riflette sulla maternità nel senso più ampio del termine. Lunavulcano, come molte donne, si divide tra lavoro e famiglia. Le sue giornate si susseguono secondo un ritmo cadenzato da impegni prevedibili, che ruotano perlopiù intorno al suo mondo affettivo. La sua vita è solida. O sembra esserlo...
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37. Brunella Schisa, “La nemica” (Neri Pozza)

Parigi, giugno 1786. Il silenzio del mattino è trafitto da uno strillo roco, disperato. Cercando di farsi largo tra la folla che affluisce al Palazzo di Giustizia, il giovane Marcel de la Tache, giornalista alle prime armi, si trova dinnanzi a uno spettacolo senza precedenti: migliaia di persone circondano il patibolo sopra cui si dibatte una donna con le vesti stracciate. Da sola tiene testa a quattro uomini. Soltanto il boia di Parigi, Henri Sanson, un gigante con un grembiule di cuoio, un berretto di pelo e una frusta in mano, se ne sta tranquillo accanto a un braciere fumante, pronto a infliggere alla prigioniera il marchio del disonore. Chi è quella tigre inferocita? E quale delitto orrendo ha commesso per essere condannata alla pubblica fustigazione e marchiata a fuoco come una ladra? Marcel de la Tache lo ignora. Impressionato e, suo malgrado, affascinato dalla bellezza di quella belva selvaggia, si interessa al caso. Scopre che la condannata è Jeanne de la Motte, un'avventuriera con il sangue dei re Valois nelle vene. Si è macchiata di tre gravi reati: furto, falso e lesa maestà. La donna, fingendo di agire per conto di Maria Antonietta, ha convinto il grande elemosiniere di Francia, il cardinale Rohan, a comprare e consegnarle un favoloso collier di diamanti con oltre seicento pietre tra le più belle d'Europa. Ammaliato dalla donna che ha infangato il nome della regina, frodato il cardinale Rohan e l'intera Francia, Marcel decide di farle visita in carcere. Una scelta destinata a condurlo su strade pericolose quando Jeanne gli chiederà di aiutarla a evadere. Attraverso una prosa elegante e agile, Brunella Schisa fa rivivere nelle sue pagine la più grande truffa del XVIII secolo, a opera di uno dei personaggi femminili più affascinanti della storia: Jeanne Valois, contessa de la Motte, che nei suoi memoir si firmava «la nemica mortale» di Maria Antonietta.
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38. Yari Selvetella, “Le stanze dell'addio” (Bompiani)

"Io ho ricominciato a lavorare. In altri luoghi scrivo, succhio gamberi, respiro foglie balsamiche, faccio l'amore, ma una parte di me è qui, sempre qui, impigliata a un fil di ferro o a una paura mai vinta, inchiodata per sempre: il puzzo di brodaglia del carrello del vitto, quello pungente dei disinfettanti, il bip del segnalatore del fine-flebo, la porta che si chiude alle mie spalle quando termina l'ora della visita." Così si sente chi di noi vive l'esperienza di una perdita incolmabile: impigliato, inchiodato. Dalle pagine di questo libro affiora il volto vivissimo di una giovane donna, Giovanna De Angelis, madre di tre figli e di molti libri, editor di professione, che si ammala e muore. Il suo compagno la cerca, con la speranza irragionevole degli innamorati, attraverso le stanze - dell'ospedale, della casa, dei ricordi - fino a perdersi. Solo un ragazzo non si sottrae alla fratellanza profonda cui ogni dolore ci chiama e come un Caronte buono gli tende una mano verso la vita che continua a scorrere, che ci chiama in avanti, pronta a rinascere sul ciglio dell'assenza. Yari Selvetella dà voce a un addio che sembra continuamente sfuggire al tentativo di essere pronunciato, come Moby Dick nel fondo del mare, e scrive un kaddish laicissimo eppure pervaso del mistero che ci unisce a coloro che abbiamo amato. Attraverso il labirinto al neon degli ospedali, le stanze chiuse del lutto, il filo tracciato da una penna sul foglio bianco è ancora di salvezza, celebrazione commossa della forza vitale delle parole.
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39. Giuseppe Sgarbi, “Il canale dei cuori” (Skira)

Dopo tre titoli coronati da un importante successo di pubblico e di critica, Giuseppe "Nino" Sgarbi - classe 1921 - ritorna: nella primavera del 2017 lo ritroviamo sulle sponde di quel Livenza dove, per tanti anni, è andato a pescare e dove a poco a poco il passato riemerge riportando storie, persone ed emozioni. Accanto al vecchio signore prende vita il ricordo del fratello della moglie Rina, Bruno Cavallini, con cui Nino riallaccia il dialogo che si era dovuto interrompere, improvvisamente, più di trent'anni prima, come se il loro ragionare non si fosse mai fermato. Un dialogo intimo, intenso, fatto di ricordi e bilanci di una vita lunga quasi un secolo, in pagine che scorrono limpide, fresche e vivificanti come le acque del fiume tanto caro all'autore, regalando squarci inediti e sorprendenti di una vita che non c'è più, così come pochissimi l'hanno vissuta. E quasi nessuno l'ha mai raccontata.
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40. Carlo Maria Steiner, “Dottor Marx” (Felix Krull Editore)

"Gottfried vide sorgere il sole. Il cielo era diafano e, nel rugiadoso silenzio dell'alba, i netti contorni degli alberi e delle case gli apparvero più familiari e cari che mai. Avrebbe voluto scendere giù per vedere quelle cose da vicino, per toccarle. Avrebbe voluto immergersi nel suo mondo... Nessuno glielo impediva. Gli mancava solo la forza. Senza la quale ogni movimento è impossibile. E quella forza, lo sentiva, non sarebbe più tornata. Un'opaca voce interiore cercava di convincerlo a ribellarsi e a difendere l'intimità della sua casa; un'altra voce, molto più credibile, gli diceva invece che era impotente, che il rispetto e il pudore non erano più virtù correnti e che tutti avevano il diritto di penetrare in quello che era il suo santuario. Affiorò in lui una tristezza infinita. Se ne stava ancora, irrigidito, davanti alla finestra della cucina. Fissava annientato la dissoluzione del suo unico rifugio. E tremava di freddo."
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41. Giordano Teodoldi, “Tabù” (Tunué)

Quando Piero Origo seduce Emilia, la moglie del suo migliore amico Domenico, saggista di successo, si sente un antropologo dell'adulterio che studia il tradimento come un rito di passaggio universale. In ogni esperienza, Piero cerca il limite oltre il quale la tavola della legge va in frantumi. Cosi i triangoli e la vita in una comune, l'amicizia con un sacerdote che tenta di imbrigliare il suo edonismo finendone invece influenzato, l'incontro misterioso con una giovane di formidabile purezza, fino al ritorno in scena di una Emilia misteriosamente velata, saranno tappe di un viaggio nella volontà umana di violare il comandamento che, ancora oggi, in una società che non rispetta nulla, incute soggezione e attrazione: non desiderare la donna d'altri.
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© Alessandro Grippo
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ultimo aggiornamento: 30 Aprile 2018


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